Museo Etnografico di Lodrino

 

L'ALIMENTAZIONE

La vita dei montanari è stata sempre, in ogni tempo, più dura di altre per le difficoltà naturali presenti nell’ambiente. Più frequenti si manifestavano le malattie dovute ad una alimentazione povera di vitamine ed a uno scarso igiene personale. La carne era generalmente un cibo assai raro sulla tavola. Gli animali da cortile erano uccisi solo in caso di feste particolari od in caso di necessità per nutrire con una dieta più sostanziosa le persone deboli o ammalate. L’allevamento del maiale rappresentava per ogni famiglia un modo tipico di procurarsi rifornimenti per buona parte dell’anno. L’animale nell’ultimo periodo veniva ingrassato con resti della cucina o con del farinaccio. Il periodo migliore per la sua uccisione era l’inverno. Il norcino abbatteva il maiale e con un lungo coltello gli recideva la vena giugulare. Il sangue che fuoriusciva era raccolto in capaci recipienti: sarebbe stato utilizzato poi come ingrediente principale per fare una torta. L’animale era lavato e ripulito dalle setole mediante affilati coltelli versando nel contempo sulla cotica acqua bollente. Dopo lo squartamento si procedeva alla lavorazione della carne: prendevano così forma i salami, i cotechini, le coppe. Gli ossi ben spolpati e salati andavano consumati,previa bollitura, nei giorni successivi. Il lardo, con una vena di carne, riceveva la salatura ed era messo a stagionare in cantina. Il grasso bollito e sciolto si versava in vasi di terracotta dove poteva conservarsi a lungo. Nel grasso, durante la bollitura, rimanevano dei pezzettini di carne: erano i cosiddetti ciccioli. I familiari li mangiavano appena cotti oppure in seguito si aggiungevano alla pasta per farne una certa qualità di pane. La parte meno pregiata del grasso si utilizzava per ammorbidire la tomaia delle scarpe o per lubrificare corde e fili metallici impiegati dai boscaioli per trasportare a valle la legna. Altro grasso ed ossi, con aggiunta di soda caustica, posti sul fuoco dentro un capace paiolo, rimescolati in continuazione fondevano col calore della fiamma trasformandosi in sapone liquido. Il problema della conservazione dei cibi era assai importante e veniva risolto con l’utilizzo della cantina, un ambiente fresco, areato e buio. Lo spessore del soffitto a botte garantiva una temperatura costante ed una buona maturazione dei salumi, delle carni affumicate e dei formaggi. Nella cantina si ammassavano tutte le provviste possibile e conservabili per affrontare il lungo inverno: miele, cipolle, fagioli, patate, bietole. Particolare curioso: la chiave di accesso al locale era prudentemente custodita dalla donna più anziana e più accorta nella gestione dell’economia famigliare. Con quelle provviste infatti la famiglia doveva arrivare a primavera inoltrata. La vendita del sale, merce indispensabile per la conservazione dei cibi, era rigidamente controllata dal Governo. Il prodotto costava e allora per l’uso poteva essere recuperato dalle scorie delle fonderie. Mediante una lunga serie di bolliture di queste scorie e seguendo certi procedimenti, si otteneva alla fine una buona quantità del prezioso minerale. In settembre ed ottobre si raccoglieva il mais. Le pannocchie più mature, appese sotto i porticati per l’essiccatura, durante l’inverno venivano sgranate. Dal granoturco, portato al mulino per la macinazione, si otteneva una farina giallo-scuro usata per fare la polenta. Il piatto rustico era infatti il principale alimento quotidiano. Si cuoceva in un paiolo di rame appeso ad una catena del focolare e quando era cotta si rovesciava sul tagliere. Si gustava con cibi caserecci od inzuppata nel latte. Una variazione della polenta e formaggio era costituita dal "Tone". Si collocava nel mezzo della fetta di polenta calda dello stracchino molle. Premendola con le mani, si faceva avvolgere su se stessa la fetta di polenta sino a formare una palla. Quindi si poneva sulla griglia per far fondere completamente al suo interno lo stracchino e per abbrustolire ben bene la parte esterna del "Tone". In certe occasioni, durante la cottura, alla polenta si aggiungevano formaggi, stracchini e un condimento di burro fritto con aggiunta di salvia ed ottenendo così la polenta"taragna". Sempre in autunno si procedeva alla raccolta delle castagne, risorsa indispensabile per tutti i Lodrinesi. I contadini ne raccattavano in buona quantità ancora chiuse nei loro ricci e le ammassavano in luoghi asciutti ed al riparo dal gelo. Nel loro involucro naturale si conservavano fresche e potevano essere consumate nei mesi successivi. Altro alimento importante era costituito dalle patate i cui tuberi erano coltivati anche nelle zone più impervie. Patate e castagne bollite erano la cena comune delle famiglie e le caldarroste sbucciate la colazione mattiniera dei bambini. Sempre in questa stagione si raccoglievano nocciole, noci, mele, pere ed altri frutti che andavano ad integrare la povera alimentazione. La seconda domenica di Novembre era usanza festeggiare la Madonnina di Invico con la degustazione di un vino leggero (el Marèl) prodotto con l’uva americana del luogo.