IL BOSCO - LE SLITTE - I CARRI
Il reddito garantito
alla comunità da una buona gestione del bosco ha fatto sì
che nei secoli si sia strutturato un lungimirante sfruttamento del
territorio boschivo.
Legname da costruzione, legna da ardere indispensabile per la vita
quotidiana, castagne ed altri frutti per l’alimentazione erano
tutti prodotti ricavati dalle "Squadre", particelle di bosco
sfruttate a rotazione ventennale o trentennale, assegnate ancora oggi
con un ‘asta pubblica condotta con il metodo della candela vergine.
Nel museo molti sono gli strumenti collegati al bosco, al legname,
al legno come materiale duttile, all’ingegno contadino con il
quale si faceva e si fabbricava tutto, dalle posate ai piatti, ai
tetti delle case, ai letti dove riposare, agli altari dove pregare
ed ai carri per portare altro legno in un ciclo secolare che continua
ancora oggi.
Le varie fasi della lavorazione del bosco sono ben rappresentate dalla
raccolta del museo. L’approccio al bosco iniziava con il periodo
del taglio, rispettando le fasi lunari in quanto era solo in luna
calante che veniva garantita una maggiore qualità del legname
o della legna da ardere. L’abbattimento avveniva tramite scuri
e seghe a due manici, proseguiva poi con la sramatura, la divisione
delle diverse pezzature e qualità, l’accumulo in cataste
( mede ), la preparazione delle fascine legate con le "strope",
fascine di legna fine e media perché nulla restava e nulla
veniva sprecato in previsione dell’inverno che sarebbe arrivato.
Negli intervalli del lavoro venivano consumati magri pasti, con polenta
e formaggi, acqua di fonte e frutti di stagioni; nei periodi piovosi
ci si rifugiava nelle vicine cascine e mai perdendo tempo si riparavano
e affilavano ascie, seghe, roncole (podet ), si facevano manici e
si apprestavano i materiali che sarebbero serviti per il trasporto
della legna da ardere e dei tronchi che sarebbero serviti per tetti
e per falegnameria.
Con slitte da bosco, con muli, con teleferiche ed a braccia tutto
veniva portato in prossimità delle partenze delle funi ( fil
) dei taglialegna, da dove poi col sottofondo della vibrazi one del
fil e delle grida degli uomini, i "masoch", fascioni di
legna fine, media e grossa, scendevano a valle verso la "batida",
arrivo finale del fil e punto di carico dei carri del legname, le
"preale", poi quando la strada era più ampia, si
utilizzavano le "bare",i camion dell’epoca trainati
da muli o buoi. Con un lavoro di mesi che si ripeteva ogni anno in
posti diversi quasi tutta la legna era trasportata alle cascine, alle
case o anche in prossimità della "ial", piccola piazzola
dove i carbonai accendevano il "poiat". Con un arte tramandata
da padre in figlio trasformavano legna di media pezzatura in carbone
di legna che sarebbe servito nelle fucine dei fabbri o nei forni fusori
della media Valle Trompia per tenere viva la fiamma che avrebbe creato
ferro e acciaio uscito come pietra dalle miniere di Collio e Bovegno.
Nelle cascine gli anziani ed i bambini impilavano con ordine i ciocchi
di legna spaccati da giovanotti sul "soc" ( ceppo ) con
la scure o tagliati con lo "spartidur" o la "rasega".
Gruppi di uomini, spesso tutti famigliari allestivano il cavalletto
per il taglio delle "bore" per farne travi per tetti, assi
per pavimenti e assoni per falegnameria con un lavoro di precisione
e cura nella scelta del taglio tale da non pregiudicare le successive
lavorazioni.
A Lodrino questo lavoro era svolto dai Bigiane, che venivano chiamati
in varie località per il taglio delle "bore" di rovere,
ciliegio, noce, castagno,abete e faggio che provenivano dai vari boschi
del Comune.
Intorno al bosco e alle piantumazioni fatte dall’uomo ruotava
una complessa ed imponente economia che prosegue, ormai marginale,
ancora oggi, ma il legame e il richiamo che dal bosco giunge ancora
a tutti noi evocando storie di lupi, orsi, serpenti leggendari e streghe
ci ricorda che la sua salvaguardia è la salvezza del territorio
e dell’ambiente.