LA CACCIA
La caccia costituiva nel passato
una delle fonti di alimentazione a basso costo praticata da molti
degli abitanti delle valli bresciane. Ancora oggi la fama di cacciatori
e consumatori di selvaggina circonda i valligiani della provincia
bresciana. La caccia, in assenza di armi da fuoco, era praticata con
trappole di varia foggia. La più nota e diffusa era l’archetto.
Era costituito da una molla in legno ad arco (archet) che tesa da
uno spago, arricchita con l’esca (marosen), bloccava allo scatto
della chiave (ciaf) la preda nel cappio. Gli archetti erano disposti
sulle tese, per le quali erano tenute regolari aste comunali. Altre
trappole erano i lacci, basati sullo stesso principio degli archetti
ma posati a terra per fagiani, beccacce, lepri, tassi, poi erano usate
le tagliole per volpi, lupi e caprioli. Fino a pochi anni fa dalle
"basse" salivano in primavera inoltrata i raccoglitori di
poiane (gainei); queste venivano catturate con reti a budello e gabbie
(cashoi) e rivendute in pianura ai cacciatori di allodole. In passato
vi erano pure le trappole a fossa per predatori di grossa taglia come
orsi e lupi (luf). L’osservazione secolare delle migrazioni
degli uccelli come tordi, cesene, frisoni, cincie ed altri suggerì
la costruzione, in particolari zone dette di "passo", dei
roccoli, ingegnose installazioni con piante a cortine successive,
predisposte per la posa di reti, trappole e panie, sorta di rametti
messi a guisa di alberello, coperti di vischio su cui restavano intrappolati
gli uccelli di passata.
Vi erano poi i capanni da caccia (baitei) più recenti perché
utilizzati dopo il diffondersi delle armi da fuoco a scopi venatori:
la Valle Trompia, culla delle fabbriche d’armi da caccia, è
disseminata di capanni da caccia tanto da essere conosciuta come l’epicentro
della cultura della polenta e uccelli (polenta e osei) del Nord Italia.
Non vanno dimenticati, pur essendo di secondaria importanza, la raccolta
di lumache, rane e gamberi di fiume, cacce che venivano effettuate
in primavera ed estate